VITA E MIRACOLI Nella vetusta Troina, addossata ad un monte e circondata da superbe e maestose colline, nacque Silvestro da nobile ed agiata famiglia, verso il 1110. La tradizione vuole che sia nato col bernoccolo della santità e del disprezzo delle cose di questo mondo; di condotta esemplare, cresceva in saggezza al in virtù, e piaceva tanto a Dio quarto agli uomini. Sebbene ricco, si innamoro della vita austera che conducevano i monaci dell''ordine di san Basilio Magno, presso un monastero, sulla cima di una ridente collina a tre chilometri di distanza dalla città. Tale monastero fu fatto erigere dal Conte Ruggero allo scopo di radunarvi i diversi cenobiti che, per la venuta dei Saraceni, vivevano sparsi in vari siti del territorio, da loro stessi santificati con i titoli che portavano: San Vito, Sant''Elia, San Giovanni, San Costantino, San Piero, san Cristofaro, San Mercurio, Sant'' Anastasio, San Basilio, San Cono, Sant''Ippolito, Sant''Antonio ecc.
In questo monastero, detto S. Michele il vecchio, i cui ruderi esistono ancora, fu accolto Silvestro; e tanto vi si distinse in modestia, disciplina e penitenza, che ben presto, senza volerlo, fece parlare di sé e dei suoi meriti di santità.
Dopo un anno di noviziato, fattosi monaco, non volle mai celebrare messa, ritenendosi indegno e accontentandosi di servire gli altri, piuttosto che essere servito;fu molto obbediente e scrupoloso osservatore degli ordini dei superiori.
Quando seppe che a Catania si preparavano splendide feste per la beatificazione di S. Agata, egli desiderava ardentemente ardarvi con gli altri monaci, ma l''abate Nicodemo gli impose di restare a custodia del monastero ed egli non si oppose.
Se non che, nell'' ora solenne, fu lì veduto dai suoi colleghi, genuflesso tra la turba dei devoti adoratori; avendo avvertito l'' abate, andarono tutti ad avvicinarsi a lui, ma non riuscirono più a rinvenirlo. Partirono, dunque, in fretta furia, alla volta del monastero, certi di non trovarlo; ma Silvestro era lì, fresco e tranquillo: fu allucinazione dei monaci o dono di ubiquità oppure miracolo, percui vi si recò solo con lo spirito?
Era oltremodo caritatevole, mai un povero si rivolse a lui invano. La leggenda dice che Silvestro, un giorno, tornava dalla città al monastero con alcune provviste che gli aveva ordinato l'' abate, allorchè vide, disteso al suolo, un povero lacero e debole che a stento parlava e che non riusciva a reggersi sulle gambe: interrogarlo e metterselo sulle spalle per portarlo al monastero fu un tutt''uno. Più camminava, però, Silvestro, più sentiva appesantirsi quel corpo, tanto che, a cento passi dal chiostro, dovette riposarsi, ma qui il povero, raggiante di luce, sparì: Dio volle mettere a prova il cuore caritatevole di Silvestro e mostrargli riconoscenza. Nulla avrebbe detto il monaco, se l''abate, avendolo visto tornare con un faro di luce sulle spalle, non 1'' avesse costretto a narrare l''accaduto.
Tanti altri furono i miracoli operati in vita da Silvestro, come la resurrezione dell''oca dell'' abate, uccisa involontariamente da un frate; l''entrata nel forno che spazzo con il lembo della tunica per aiutare il fornaio che si disperava per aver smarrito lo spazzatoio e il pane sarebbe inacidito.
Agonizzava nella corte di Palermo, il figlio di re Guglielmo I, detto il Malo; la scienza medica aveva messo in opera tutti i suoi ritrovati senza ottenere, però, alcun risultato. Avendolo saputo, Silvestro, che allora si trovava a Roma, volle andare al capezzale del moribondo.
Giunto alla reggia quel corpo stecchito, dalla faccia emaciata, dagli abiti logori, non destò alcuna fiducia, anzi, servitori e medici lo schernirono e gli prepararono un tiro furbesco. Entrato a stento, Silvestro chiese le urine dell''ammalato, ma i medici gli fecero presentare quelle di una scrofa; avutole, il sant''uomo disse: "Queste non sono dell'' ammalato ma sono le urine di una scrofa in attesa di dieci porcellini"; cosa che fu subito constatata. Lo scherno, allora, si mutò subito in ammirazione e rispetto profondo. Si dice che Silvestro abbia spremuto un limone ed un''arancia amara ed abbia dato il succo da bere al principe, il quale si liberò dal tenia e guarì.
Salvato il principe, Silvestro partì rifiutando i ricchi doni offertigli dal riconoscente sovrano, accettando solo del pesce salato per darlo al monastero; pesce stabilito in seguito come annuo assegno.
Giunto al monastero, trovò morto l''abate, ed i monaci, conoscendo i suoi meriti, volevano farlo loro superiore; ma Silvestro rifiutò e per non cedere alle reiterate preghiere, partì e non fu più visto. Si credette che fosse ritornato a Roma, o che si fosse ritirato in qualche luogo solitario; alcuni scrissero che si ritirò nella grotta d''una foresta vicino la città, presso la chiesa dedicata a S. Bartolomeo, qui morì solitario, inosservato, il 2 gennaio del 1164, a 54 anni di età. Le intemperie ne chiusero l''ingresso e così la spelonca fu la sua urna per più secoli.
Più verosimile è la seconda ipotesi, sulla base della quale Silvestro, colpito da repentino malore, fu condotto all''infermeria,sita presso 1a detta chiesa di S. Bartolomeo, dove morì; il luogo dove poi fu trovato, non era un eremo ma una sepoltura, ostruita e sotterrata dalle intemperie e dimenticata col passare del tempo, fin quando, per un caso miracoloso, non venne scoperta, dopo due secoli e mezzo. Un cacciatore di Lentini, infatti, inseguendo il falco che aveva addomesticato per la caccia ma che, imbizzarritosi, non voleva più obbedirgli, di sito in sito, fu costretto a fermarsi per la notte vicino Troina, presso la rupe detta Posterna; all''improvviso i suoi occhi furono colpiti da una luce vivida, proveniente dal fondo della selva, luce che diventò sempre più splendente, tanto che gli sembrò di avere dinnanzi il simbolico roveto ardente. Strabiliato e confuso, il cacciatore, dimenticando il falco, corse a riferire lo strano fenomeno ai Troinesi; il giorno dopo, in presenza del clero, si cominciò a scavare nel luogo indicato.
Così, verso il 1420, fu trovato, con gli abiti ancora intatti, il corpo di Silvestro, e, in occasione di tale scoperta, si dice che si raddrizzarono è camminarono gli zoppi, i ciechi videro, e udirono e parlarono i sordomuti.
Il sacro corpo fu portato in gran processione alla Madre Chiesa e si fabbricò subito un magnifico tempio, nel luogo dove avvenne il rinvenimento; qui, in un''urna di pietra al centro della quale fu scolpita l''immagine del Santo, venne seppellito, dopo avere incastrato in una statuetta d'' argento ,un segmento del cranio, che costituisce l''unica e preziosa reliquia. Si asserisce che la scolpita lapide, che chiude le ossa del Santo, fosse prima così profonda da dover utilizzare qualche lume per vederla, e che, in seguito, sia andata insensibilmente crescendo sino ad eguagliare il pavimento del tempio; è credenza popolare che, quando avrà .toccato la volta della sovrastante cupola, dovrà succedere qualcosa di straordinario. Avendo deciso di fare il simulacro del Santo, si affidò l''incarico ad un rinomato scultore veneziano, il quale, sebbene si impegnasse notevolmente per riuscire a creare una statua degna del Santo, ogniqualvolta terminava il lavoro, lo trovava, all'' indomani, disfatto. Ciò accadde fin quando gli apparve in sogno S. Silvestro che gli disse: "Guardami bene... Così mi devi modellare"; la statua, allora,riuscì a meraviglia. Essa rappresenta il Santo col volto abbronzato, a capo scoperto e fornito di aureola , vestito di cappamagna e collare e seduto su una poltrona.
Nessuna nave partì mai da Venezia con vento così favorevole, come quella che trasportò la suddetta statua; si narra che, poco lungi dal porto di Catania, sia stato un cieco il primo a vederla, e un sordomuto il primo a dire: " Quel che viene è bastimento veneziano e porta la statua di S. Silvestro da Troina". Immensa fu la gioia con cui fu ricevuta a Catania ed indescrivibile l''entusiasmo con cui venne condotta a Troina, dove fu conservata all''interno di un''elegante nicchia, sull''altare consacrato allo stesso Santo, nella Madre Chiesa.
Nel 1575, quando la peste infuriava in Sicilia, mietendo inesorabilmente tantissime vittime più a Troina che altrove, i Troinesi, dopo aver fatto venire un medico da Catania, si rivolsero a S. Silvestro, pregandolo affinché facesse fermare il flagello; credendo di essere stati liberati da costui, ne uscirono solennemente la statua in gran processione, portandola attorno la città: cerimonia che venne ripetuta ogni anno. Sin d'' allora, vollero ed ottennero che il concittadino San Silvestro fosse loro Patrono; celebrano, in suo onore, splendide feste, non solo per l''anniversario della sua morte, il 2 gennaio, ma anche in altro periodo dell''anno, che prima era il 20 maggio in ricordo della scoperta del sacro corpo, e che, in seguito, per conferire una maggiore solennità, fu trasferita alla prima domenica di giugno.
LE FESTE
Li rami
Questa piccola festa, detta li ramara, che serve come di trombetta annunziante l''approssimarsi delle grandi feste, ha luogo durante la penultima domenica di maggio ed è caratterizzata dalla presenza di diverse frotte di giovani e robusti contadini e manovali che, adempiendo il voto proprio, o avendolo ereditato dai loro genitori, compiono il viaggio per offrire il ramo al Santo.
Partono, con qualche giorno di precedenza, a piedi, taluni anche scalzi, e vanno nelle lontane foreste. Ivi, come branco di segugi in cerca di selvaggina, si sparpagliano, adocchiando i giovani alberi di alto fusto, da 10 a 15 cm. di diametro alla base. Fatta la scelta, ogni pellegrino ne abbatte uno, che pulisce a mo'' di lunga pertica e, dopo avere avvolto alla sua cima un fascio di lauro, tutti carichi di tal peso, preceduti dal rispettivo tamburo, ritornano alla città, entrando, unus post unum,per il quartiere Borgo e salendo alla piazza Conte Ruggiero. Chi di essi porta il tradizionale ramo sulla palma della mano, sostenuto dall''altra, chi, per poco, sugli incisivi, chi poggiato sullo stomaco e chi, più debole e stanco, in bilico sulla spalla.
Giunti nella detta piazza, poggiano, sulla palazzata orientale, li rami, ed entrano nella Madre Chiesa: ad ascoltare la messa; molti di essi castigano la lingua, anche per voto fatto, strisciandola lungo tutto il pavimento della chiesa. Finita la messa, escono, ripigliano i rami e vanno, con lo stesso ardore ed ordine, sino alla tomba di San Silvestro a pregarlo di accettare il viaggio, mercè sua, prosperamente compiuto. Quindi ciascuno, adusto e trafelato, va a riposare le stanche membra nella propria casa.
La ''ddrarata. Questa festa, che si celebra l''ultima domenica di maggio, ha molta analogia con la prima; anch''essa, infatti, è caratterizzata da un pellegrinaggio per voto ed ha per simbolo il lauro.
Senonchè, invece di andare a piedi, in questa i Trorinesi vanno a cavallo, anzi scelgono le migliori, le più bizzarre bestie e partono, pure con precedenza, svegliati dal rullo del tamburo che hanno pensato di caparrare a tempo e di farne venire magari dai paesi vicini, non bastando quelli del proprio. Si riuniscono a squadre, portanti il nome del quartiere o rione a cui appartengono, e vanno alle foreste, senza avere dimenticato, s''intende, il rispettivo viatico. Ivi fanno fasci di lauro che depositano presso il ponte del fiume di Troina. La domenica, di buon mattino, dietro un modesto pasto, consumato insieme al procuratore della confraternita di San Silvestro, il quale vi si reca appositamente con abbondante vino e companatico, dopo aver pulito, ornato e caricato di alloro le bestie, si avviano a cavallo per la città, alcuni armati di schioppo, altri di nodosi bastoni, divisi sempre a squadre, ciascuna preceduta da un assordante tamburo. Percorrono così ordinate e col diritto di precedenza, che fanno ad ogni costo rispettare, la stessa strada che fanno li ramara.
Nucleo delle feste
Oltre le suddette feste, se ne fanno altre due in onore dello stesso Santo: una ricorre il due gennaio nella cui vigilia, vale a dire a capo d'' anno, finito il vespro, il procuratore della confraternita getta a profusione nocciole al popolo accalcantesi ed accapigliantesi sul piano contiguo alla chiesa di San Silvestro; l''altra, che comincia la prima domenica di settembre e dura otto giorni, è una specie di sagra che rende animato l''ampio prato dinanzi all''ex convento dei padri Agostiniani. Ivi sono maestose logge, destinate ad accogliere argentieri, gioiellieri, orefici, chincaglieri, pannieri, merciai, bazar, calzolai, stovigliai, vasai, magnani, dolciari, giocolieri e barattieri d'' ogni risma e conio, i quali, con l''intervento anche del Patrono portatovi in bara, mercanteggiano, barattano, vendono la rispettiva merce ai Trorinesi.
Il nucleo delle feste, che ha una durata di tre giorni, è costituito dagli eventi che si svolgono nel mese di giugno: la fiera, la processione, la cavalcata, il trasporto del Santo.
La fiera
Il sabato precedente la prima domenica di giugno, si fa entrare il numeroso bestiame nel piano della fiera; questa entrata nel prato comunale che si estende al lato Nord-Ovest della città per circa 40 ettari a mo'' d''immenso e morbido tappeto verde, si fa ad un''ora determinata pomeridiana di detto giorno, dietro sparo di due mortaretti. Quando si riesce a tenere a freno il bestiame, è bello vedere una miriade di svariati quadrupedi irrompere da ogni parte e invadere in un baleno il largo prato, guidati, cacciati, spinti da diverse mani, orribili favelle, da urrà formidabili, a suon di fruste e di bastoni, a cui fanno ineffabil eco i muggiti delle mucche, dei buoi e dei torelli, i nitriti dei cavalli, i ragli degli asini, i belati delle miti pecorelle, il tintinnio di sonagli e di campami e grugniti dei maiali, tutti pascenti l''erba fresca e per loro custodita. Iniziano, allora, importanti negozi, interrotti all''imbrunire e ripresi all''indomani.
La processione Dopo quella del Corpus Domini, questa è la più lunga, la più numerosa e maestosa delle processioni che si fanno in città durante l''anno; anticamente, vi partecipavano anche i magistrati vestiti di toga che assistevano al vespro ed alla messa, cantata nei due giorni seguenti, seduti in un apposito stallo, detto banco dei giurati, di fronte a quello dei canonici. Il corteo parte verso l''ave maria dalla chiesa di San Silvestro, ed è formato da tutte le confraternite (tranne quelle del Santissimo e del Rosario) e dal clero, secondo quest'' ordine: la confraternita del Monte di Pietà con abito bianco e mantellina blù, seguono quella della Morte, con mantello nero, dell'' Immacolata, con manto celeste, di San Giuseppe, con manto rosso, di San Silvestro con iscapolare nero, e dell'' Annunziata, con mantellina celeste: indi il clero e la musica.
I canonici indossano un''elegante cappamagna serica purpurea a strascico, cioè con enorme coda, che sostengono avvolta al braccio sinistro. La Reliquia del Patrono è portata dall''arciprete o da un canonico anziano, sotto ampio baldacchino. Ogni confraternita, ordinata e disciplinata dal ramarro, è preceduta dal rispettivo gonfalone o stendardo e da un tamburo, ed è seguita da due paggi con incudine o tuba ed uniforme pure elegante e vario, secondo la confraternita alla quale appartengono.
Lungo il percorso per le strade san Basilio e Conte Ruggiero, si sparano mortaretti e, giunta la Reliquia in piazza, vicino la collegiata, olim cattedrale, si accendono fuochi di bengala e si sparano miriadi di bombe - carta, dette moschetteria.
Finita la benedizione, suona la musica all''aperto sino a tarda sera.
La cavalcata
All'' indomani, domenica, giorno che coincide con la festa dello Statuto, si continuano i negozi alla fiera e verso le 17 si fa la cavalcata lungo la strada Conte Ruiggiero, piena di gente di ogni tipo.
Tre cavalieri, vestiti alla paladina, portanti a mano mazzi di fiori (che gettano a'' veroni delle due file di case laterali, gremiti di signore e signorine), affiancati ciascuno da un Palafreniere, preceduti da una trentina di giovani armati di schioppo, e tutti su cavalli elegantemente sellati, incedono, aprendosi un''angusta via tra la folla.
Dopo essere maestosamente giunti all'' altro capo della strada, l'' accompagnamento armato se ne va, passando sotto un bellissimo palco, sormontato da una grande aquila dorata e disegnato a vari colori, sul quale si trova la musica cittadina che suona svariate melodie.
I tre signori a cavallo, con i rispettivi palafranieri, restano e, passeggiando per la strada rigurgitante, distribuiscono, o meglio, gettano ad una selva di teste e braccia alzate, a destra e a sinistra, torroni e confetti (a'' veroni solo confetti, polli e colombi). Bisogna vedere la povera gente, come si scalda, si scalmana, s''azzuffa, s''arrovella, si pesta per afferrare qualche confetto o torrone o galletto che, scappato da'' veroni, o non giuntovi, viene subito squartato, sfracellato, restando a chi un''ala, a chi un piede o la cresta o il collo di quell'' innocente volatile.
Fra tanto pigia pigia e acchiappa acchiappa, è da ammirarsi che, all''infuori dì qualche lieve contusione, nessun disordine avviene fra sì buona gente.
Alcuni credono che questa cavalcata, la cui origine è antichissima ed ora accenna a cadere in disuso, simboleggi la presa del castello d'' Imachera, detto Troina, fatta dagli intrepidi Normanni, guidati dal Conte Ruggiero che, cacciati i Saraceni, diede libertà, favori e privilegi ai Torinesi; altri asseriscono che essa ricordi la cerimonia del vescovello.
Il trasporto del Santo
Lunedì mattina si celebra solennemente la messa cantata al Patrono San Silvestro, la cui statua, collocata all''interno di una ricca e pesantissima bara a otto colonne, foderate d''argento, sostenenti un'' enorme corona che va a finire in una croce tenuta da due angeli d'' argento massiccio, e tempestata d'' intarsi, ciondoli ed arabeschi d''oro, viene portata, dalla Madre Chiesa a quella del Santo, da una ottantina di robuste spalle, mentre 20 giovani tengono altrettanti grossi cordoni serici, laterali, attaccati alla cornice degli archi della bara, per equilibrarne il peso e farla girare verticalmente durante il non breve e pericoloso tragitto. Essa è preceduta dal clero e seguita dalla musica e dal popolo fedele e votivo, da signore e signorine elegantemente vestite, alcune scalze, poiché, nei giorni del pericolo e d''ansia suprema, promisero il viaggio; alcuni portano al Santo i propri gioielli, altri recano candele o torce e teste e braccia e piedi e mani e stinchi deformi di cera, in premio dell'' ottenuto miracolo.
Bambini nati difettosi si attaccano alle colonne della bara, spaventati, strillanti e se giungono ad addormentarsi, è credenza che si sveglino guariti. E'' raccapricciante il vedere non pochi contadini, uno dopo l''altro, bocconi, strisciare con tanto di lingua, dalla soglia in su, il pavimento della chiesa, irrigandolo di sangue.
Sono esilaranti, invece, e degne d'' ammirazione le cosiddette ''ntrallazzate o jochi, consistenti in drammi, commediole su soggetti sacri, intramezzati da episodi talora bellissimi. ,sempre satirici e tendenti ad un fine morale, svolti in versi endecasillabi da poeti paesani, spesso analfabeti, i quali esordiscono, solitamente, con un prologo in cui invocano il soccorso dell''Ente Supremo e l''attenzione e l''indulgenza degli uditori nell''opera intrapresa.
Festeggiamenti in onore del Patrono San Silvestro Monaco Basiliano.
Penultima domenica di Maggio: sfilata per le vie cittadine dei "Rami", un antico pellegrinaggio votivo offerto a San Silvestro. Alte aste di legno fastosamente addobbate con rami d''alloro, (tagliati e caricati in spalla dagli stessi pellegrini nei giorni precedenti), vengono portate dai lontani boschi alla tomba del Santo patrono.
Ultima domenica di Maggio: sfilata per le vie della città della "Ddarata", altro importante pellegrinaggio votivo, la cui caratteristica è data dalla presenza di cavalli e muli sfarzosamente bardati e carichi d''alloro.
Primo sabato di Giugno: dalla Chiesa madre muove al crepuscolo la processione della "Reliquia". Si tratta di una cerimonia molto caratteristica per via del rullio dei tamburi, dell''imponenza degli alti stendardi, dei variopinti costumi dei confrati, delle tremolanti luci delle torce, nonché per le strade tipicamente medioevali che vengono percosse. Questa processione ha origine nel 1575, data in cui, per scongiurare la cessazione della peste, vennero portate lungo le vie della città le reliquie del Santo patrono.
Domenica: nel primo pomeriggio, ha luogo l''antico corteo storico della "Cavalcata" o "Kubaita". Tre cavalieri in costumi spagnoleggianti montano a cavallo lanciando alla folla torrone e fiori. Questa particolare manifestazione ricorda l''ingresso dell''imperatore Carlo V a Troina. Nel tardo pomeriggio, il simulacro del Santo viene trasportato sulla pesante e preziosa "Vara" barocca del ''700, rivestita elegantemente in lamine d''argento.
Lunedì: chiusura dei festeggiamenti con ritorno del simulacro del Santo dalla Chiesa di San Silvestro alla Chiesa Madre.
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